I retroscena di un matrimonio infelice e della nascita dell’Alfa Romeo F.1

Il mondo del motorsport e della F.1 in particolare, sono pieni di storie affascinanti: di uomini, squadre, macchine, circuiti e altro ancora… Basta solo andare a cercare, scoprire, approfondire, intervistare.

Uno dei temi noti, mai abbastanza dipanati, è quello del ritorno in formula uno da parte dell’Alfa Romeo come costruttore, con una propria vettura a partire dal 1979, dopo un anno di collaudi con una monoposto figlia di un progetto del 1977!

Una vicenda incredibile, perché tanti retroscena – a scoprirli adesso – sembrano quasi comici e al limite del surreale. Rispondete subito a questa domanda: gestireste un accordo di collaborazione con una società inglese senza parlarne la lingua? La risposta è chiaramente no, eppure questa è la chiave di tutto, ma andiamo con ordine.

“La congiura degli innocenti. Dalla Brabham-Alfa Romeo all’Alfa-Alfa” scritto da Luca Dal Monte e pubblicato dalla Giorgio Nada Editore, svela tutti i dettagli di questo matrimonio improbabile: non era male assortito e avrebbe anche potuto dare ottimi risultati, a patto che le due parti parlassero appunto la stessa lingua e si confrontassero a viso aperto. Invece il matrimonio è naufragato dopo cinque anni, incluso quello del “fidanzamento”, dal 1975 al 1979. Un matrimonio dove i due sposi raramente hanno remato in un’unica direzione, ciascuno ha fatto il proprio gioco e seguito solo i propri interessi, per sfruttare di volta in volta piccoli privilegi o benefici economici, o semplicemente per orgoglio. Il risultato è stato abbastanza deludente. Eppure le premesse sembravano buone.

©Ercole Colombo

Tutto parte da due desideri: quello di Bernie Ecclestone, di trovare un accordo con una casa automobilistica per avere un motore più potente del mitico Ford Cosworth V8 e magari ridurre i costi. Allo stesso tempo vuole provare a rivaleggiare con la Ferrari, che domina in quel periodo, e da sempre è vista – anche dai “garagisti” inglesi – come la scuderia di riferimento da prendere ad esempio. Ci si avvicina nel 1975, quando la Brabham arriva seconda nel Mondiale Costruttori, dietro alla rossa di Maranello, dopo soli quattro anni dall’acquisizione del team da parte di Bernie Ecclestone.

L’altro desiderio è quello ancestrale di Carlo Chiti, voglioso di F.1 fin dall’addio clamoroso alla Ferrari, dalla famosa “cacciata” dei dirigenti nel ‘61, e dell’insuccesso dell’ATS nel ’63. Le grandi vittorie con le turismo GTA e nel Mondiale Marche con le sport Alfa Romeo non fanno altro che alimentare quel desiderio. La voglia di tornare a misurarsi in F.1 per far vedere a tutti di cosa è capace l’Alfa Romeo di Chiti. O meglio l’Auto Delta, poi Autodelta SpA. Il reparto corse organizzato inizialmente come una società esterna per evitare problemi burocratici e di budget e avere maggiore autonomia, visto che l’Alfa Romeo è di proprietà dello Stato italiano tramite l’IRI, e certe dinamiche decisionali molto pratiche, si sposano poco con le logiche-illogiche e le lungaggini burocratiche di una gestione partitica e sindacalizzata com’era quella dell’Alfa in quegli anni, anni turbolenti anche a causa del terrorismo e delle agitazioni di fabbrica.

Morale, in funzione degli ottimi risultati con le Sport, Chiti nel 1970 e ’71 appoggia la carriera in F.1 di Andrea De Adamich fornendo il motore 8 cilindri utilizzato sui Prototipi, per spingere prima una McLaren e poi una March ufficiali. Il propulsore è però estremamente pesante e delicato per la F.1. Il pilota triestino riesce ad ottenere come miglior risultato l’8° posto a Monza nel ’70. L’esperimento viene così sospeso, De Adamich corre poi con Surtees nel 1972, ottenendo alcuni buoni piazzamenti, e con la Brabham nel ’73. Fino a quando non viene coinvolto in un incidente multiplo a Silverstone, che gli provoca serie fratture alla gambe e lo obbliga ad abbandonare la massima categoria del motorsport. E’ proprio lui, il quale nel ’74 torna alla gare con le Alfa Sport prima di ritirarsi definitivamente, che mette in contatto Chiti ed Ecclestone. Si trova l’accordo anche se il parto del telaio Brabham che deve ospitare il motore Alfa è lunghissimo e obbliga al debutto nel 1976 al posto che nel corso del ’75. come preventivato.

©Ercole Colombo

I problemi che emergeranno sono due. Ecclestone considera Alfa un semplice fornitore, Alfa crede di essere un partner, vorrebbe essere parte decisionale delle scelte tecniche e vorrebbe anche avere voce in capitolo per i piloti. Già questo è un malinteso di fondo macroscopico. Il documento che fa testo è il contratto. Tutto quello che non è indicato non è previsto. Poco male: se Chiti e Murray – il direttore tecnico Brabham, avessero potuto servirsi di un tecnico  o un interprete per confrontarsi direttamente, tutto sarebbe andato meglio, ma si sarebbe dovuto chiare subito questo malinteso. E pensare che era stata anche l’Alfa a convincere la Martini e Rossi a sponsorizzare la Brabham! Infatti in più occasioni, lo sponsor prenderà le parti dell’Alfa Romeo quando emergeranno pesanti disaccordi. Morale, quella che avrebbe dovuto essere un’accoppiata vincente, con i capitali Martini già plurivincitrice con Porsche nel Mondiale Endurance, in realtà produce poche soddisfazioni. Nel ’76 Reutemann critica il motore e non combina granché, mentre Pace è più accomodante e ottiene un paio di  piazzamenti. I sostituti di Reutemann, Stommelen e Perkins non ottengono particolari risultati. Il 1977 promette bene perché i piloti sono molto veloci in prova, specie Watson, che ha sostituito Reutemann, ma diversi ritiri non permettono di ottenere grandi soddisfazioni. Pace è 2° nel GP augurale in Argentina, ma sfortunatamente muore di lì a poco in un incidente aereo e viene sostituito da Stuck. Alla fine il binomio Brabham-Alfa nel ’77 ottiene un 2° posto con Watson e due terzi con Stuck, più una manciata di piazzamenti. E’ ancora troppo poco, le acque si agitano, i risultati non arrivano e Chiti spinge sempre più per far partire il progetto di un’Alfa costruttrice anche del telaio F.1, non solo del motore. Una volta ricevuto l’agognato ok della Direzione, parte a spron battuto, ma il progetto sarebbe già obsoleto in uno scenario F.1 in costante evoluzione. Contemporaneamente sta nascendo anche un nuovo motore, più leggero, sulla carta affidabile e performante di quello usato fino a quel momento. Il 1978 è però un anno di grandi rivoluzioni. Lauda lascia la Ferrari e passa alla Brabham, che abbandona la Martini Racing per la sponsorizzazione Parmalat. L’altro pilota è sempre Watson. Arrivano due vittorie con Lauda, una a Monza, e altre 6 podi in totale, tre a testa per pilota e il terzo posto nel Mondiale Costruttori. Nonostante il nuovo motore sia migliore del vecchio, i rapporti tra Alfa e Brabham non fanno progressi, anzi. Il ’78 è anche l’anno della famosa vittoria di Lauda in Svezia con una grande ventola posizionata dietro al motore: una soluzione atta a creare effetto suolo e che viene subito messa al bando dalla Federazione dietro reclamo delle altre squadre.

Per l’Alfa il dado è tratto, dato che nel corso della stagione inizia i collaudi della propria vettura affidati a Vittorio Brambilla e annuncia che correrà direttamente in F.1. Chiti è legato a Brambilla perché vincitore del Mondiale Marche Sport Prototipi nel ’77 con 4 vittorie. Il debutto dell’auto dovrebbe avvenire già nel 1978, in realtà si slitterà a quello successivo. Lauda ottiene di poter provare la vettura al Paul Ricard assieme a Vittorio Brambilla, con la scusa di poter dare dei suggerimenti. In realtà vuole appurare che l’Alfa non possa essere più veloce della sua Brabham, in ottica 1979. Non può essere così, perché l’Alfa è realizzata sulla base di un progetto disegnato nel 1977 e il mondo della formula uno nel frattempo è stato rivoluzionato dall’effetto suolo, abilmente sfruttato dalle velocissime Lotus. Bisognerà mettere in cantiere un’altra monoposto per stare al passo della concorrenza. Le relazioni precarie tra Alfa e Brabham degenerano ulteriormente nel ’79. La Martini e Rossi dopo un anno sabbatico si accorda per sponsorizzare la Lotus. E’ incomprensibile come mai l’Alfa Romeo non abbia proposto all’azienda di liquori di divenire partner del suo debutto in F.1, dati i buoni rapporti intercorsi. Ad ogni modo Lauda e Piquet, che ha sostituito Watson, otterranno solo un 4° posto a testa e collezioneranno numerosi ritiri. L’unica vittoria con Lauda, si conquista nel G.P. di Imola non valido per il Mondiale, dove Brambilla con l’Alfa Romeo 177 è 6° in prova e 9° al traguardo. Morale della favola, con due gare di anticipo rispetto alla fine della stagione ’79, la Brabham ritornerà ai motori Cosworth e Lauda annuncerà il suo primo ritiro dalle competizioni. Anche per l’Alfa Romeo le cose non vanno molto meglio. Giacomelli, cha aveva sostituito e poi affiancato Brambilla (infortunatosi tragicamente nel G.P. d’Italia 1978) debutta in Belgio con l’Alfa 177 (la sigla indica chiaramente che il progetto è del ’77!) e correrà ancora con quella vettura a Digione, per poi far debuttare a Monza la 179 che si rivelerà molto più veloce ma non finirà la corsa, mentre Brambilla correrà con la vecchia vettura arrivando 12° al traguardo. Al Watkins Glen, negli Stati Uniti, Brambilla alla guida della 179, va forte nel primo turno di qualifica sul bagnato, dove è 3°, poi è non qualificato sull’asciutto, forse a causa di un errore dei cronometristi. Giacomelli invece viene mandato in testa coda da Rosberg, con conseguente rottura dello sterzo. In Canada corre solo Brambilla e arriva ad essere 8° prima di doversi ritirare per problemi di alimentazione al propulsore. Il resto è un’altra storia. La Brabham rimarrà un team di vertice, e vincerà il Mondiale con Piquet quando si abbinerà alla BMW. L’Alfa trova la sponsorizzazione Marlboro, ma il pilota di punta Patrick Depailler muore a Hockenheim e viene sostituito prima da Brambilla poi da De Cesaris. L’auto dimostra di essere veloce, ma per nulla affidabile e non si raccolgono risultati. Tranne un paio di piazzamenti. Si continuerà così fino al 1985, con l’aggiunta di altri piloti come Andretti, Baldi, Patrese, Cheever e l’ottenimento di qualche exploit eclatante in prova o in gara. Poi la gestione racing F.1 passerà al team Euroracing, sancendo il nuovo ritiro ufficiale dell’Alfa Romeo della F.1.

Ne “La congiura degli innocenti. Dalla Brabham-Alfa Romeo all’Alfa-Alfa” scritto da Luca Dal Monte, tutta la cronologia del controverso rapporto anglo-italiano viene sviscerato con dovizia di particolari e meticolosa ricerca bibliografica, anche presso l’Archivio Alfa Romeo, annesso al Museo di Arese: due gioielli di incalcolabile valore storico che la passione di pochi ha consentito di mantenere in vita, a prescindere dalle alterne fortune del Marchio. Spiccano nel lavoro di Dal Monte, le interviste a Bernie Ecclestone e Gordon Murray, le vere chicche del libro. Ecclestone e Chiti sono i protagonisti principali di tutta la storia.Sembrano cane e gatto, ai poli opposti, ma in realtà vedono le cose dallo stesso punti di vista. Le cose sarebbero andate diverse se non ci fossero state lotte intestine ad Arese, con l’azienda controllata dallo Stato dagli anni ’30 sino a metà anni ‘80) Anche l’avventura diretta dell’Alfa Romeo in F.1 a partire dal ’79 è condizionata da questa gestione. Resta il fatto che la Brabham era una squadra al top e Chiti e la sua “corrente” all’interno dell’Alfa Romeo, volevano riportare il marchio in formula uno per rilanciare il marchio promuovendolo in ambito internazionale, e per sperimentare soluzioni tecniche da applicare sui modelli di serie. Ecclestone intervistato dall’autore, premette che ad ogni modo il libro si occupa di un periodo meraviglioso nella storia della Formula Uno. Ecclestone è stato l’inventore della moderna F.1 e l’ha gestita abilmente, unendo sport e imprenditorialità. In merito al programma con l’Alfa, ci credeva veramente. Probabilmente anche lui ha sottovalutato alcuni aspetti, nel doversi relazionare con una realtà complessa come l’Alfa Romeo dell’epoca. Certo è che le due parti si sono sempre contrapposte in maniera troppo formale, ancorate troppo alle rispettive posizioni, invece che sentirsi parte di una sola squadra.

Dello stesso autore anche Ferrari Rex, sempre edito da Giorgio Nada, la biografia di Enzo Ferrari. Il libro ha ricevuto il Premio Selezione Bancarella Sport.

ACitt

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