coppia d’assi
06
M
ontreal, Canada. La Can-Am
serie nordamericana per vet-
ture del Gruppo 7, governata
dai regolamenti FIA, ha visto
la luce nella seconda meta de-
gli anni sessanta. Di fatto fu nel 1966 la stagio-
ne inaugurale, con 2 corse in programma sul
suolo canadese e 4 negli States. La particola-
rita’ principale di questa categoria di vetture
sport era quella di essere una sorta di “formule
libre”, nella cilindrata e nell’architettura dei
motori aspirati o turbocompressi, biturbo o ad-
dirittura super-charged con compressori volu-
metrici. Le innovazioni non si limitavano ai soli
motori, ma anche all’aerodinamica d’avant-
garde, come ad esempio l’impiego del primo
alettone montato dalla Chaparral. Oppure l’ef-
fetto suolo apparso per la prima volta sempre
sulla Chaparral 2J, ottenuto con due ventole
alimentate da un secondo motore da motoslit-
ta. Idem nell’applicazione di leghe superleg-
gere sino ad allora mai adottate, come il titanio
e la fibra di carbonio. Per quanto riguarda i
propulsori, delle versioni aspirate da 5 a 7 litri
di concezione americana e relative potenze a
sfiorare i 700 cavalli, si è poi arrivati - nel cam-
pionato del 1972 - al motore Porsche turbo 12
cilindri boxer di 5.4 litri, montato sul mostro
Porsche 917-30 capace di erogare 1100 CV in
versione gara, sino a 1580 CV in versione quali-
fica. Non per niente la 917-30 fu soprannomina-
ta la Turbopanzer. Cifre impossibili da immagi-
nare al giorno d’oggi, ma che allora avevano
una logica, non solo agonistica ma anche e
sopratutto commerciale. “La serie Can-Am ha
dettato il destino del marchio McLaren” ricor-
da Teddy Meyer, l’allora team manager poi di-
venuto uno dei principali azionisti. Le 37 vitto-
rie su 43 gare tra gli anni 1967 e 1971 hanno
permesso alla McLaren di finanziare la crescita
della casa di Colnbrook, decisa a fare il suo in-
gresso con basi solide in Formula Uno. A quel
tempo la Can-Am grazie ai numerosi sponsors
pagava molto bene le posizioni di alta classifi-
ca. E alla fine della stagione, altre somme im-
portanti venivano realizzate con la vendita del-
le vetture ufficiali e dei ricambi ai privati. Non
a caso questa serie ha attirato i più grandi nomi
di quel tempo, non solo tra i piloti ma anche tra
le case costruttrici. La McLaren scese in campo
per l’appunto nel ‘66, con il primo esemplare
della M1B appositamente modificato per la se-
rie, con alla guida il patron Bruce McLaren e
Gli italiani all’estero appartengono a una razza speciale. Quella che ha capito in fretta come gira il mondo e che mantiene alto il prestigio del nostro Paese, ben
sapendo come altrove le cose funzionino molto meglio che da noi, perché si rispettano le regole e il prossimo. Pino da Montreal è uno e trino: un po’ siciliano,
un po’ bustocco, un po’ canadese. Super appassionato di calcio, è stato dirigente del Montreal Impact. Giornalista di motori per il Corriere Italiano e patron della
Lubital lubrificanti, è la memoria storica del GP del Canada di Formula Uno, ma non solo. Su questo e sul prossimo numero, ci racconta la storia della serie Can-Am.
“THE BRUCE &DENNYSHOW”
di Pino Asaro
Chris Amon, un altro “Kiwi”. Ma non fu un de-
butto felice per la coppia neo-zelandese, finita
rispettivamente al 3° e al 6° posto, senza una
vittoria. Campionato dominato da John Surte-
es al volante della Lola T70, e gia’ iridato in F.1
alla guida della Ferrari nel 1964. Il 1967 divenne
l’anno della consacrazione per la McLaren con
il debutto della M6A nata dalla penna di Robin
Herd, che sarà poi uno dei fondatori della
March. Vettura di semplice concezione, ma cu-
ratissima nei dettagli, la prima in assoluto nella
categoria ad adottare una scocca in pannelli di
magnesio ed alluminio rivettati. Altra ingegno-
sa trovata furono i serbatoi. Due collocati nelle
pance laterali e un terzo sotto le gambe del
pilota, per un totale di 54 galloni o 209 litri. La
benzina veniva cosi distribuita dalla forza ce-
trifuga in curva, in accelerazione, o in frenata.
In modo da arrivare nel serbatoio di destra,
che alimentava il motore, grazie a valvole a
senso unico e a una pompa meccanica. Com-
pletavano il package sospensioni derivate dal-
la M1B, quindi super collaudate, e blocco mo-
tore Chevrolet di derivazione Camaro Trans-Am
da 500 cavalli a 7.000 giri, curato dal california-
no Bartz, oltre a gomme appositamente realiz-
zate dalla Goodyear montate su cerchi da 15
pollici. Di fatto, fin dai primi giri in pista la M6A
si dimostrò subito molto leggera grazie al suo
peso di 615 kg, il piu’ basso della categoria,
quindi agile e piacevole da guidare. Sempre
detto da Teddy Meyer: “Herd e’ stato l’autore
dell’impostazione di questa vettura e del suc-
cesso negli anni.” A causa dei ritardi nelle con-
segne dei motori V12 BRM per il programma di
F.1, Bruce in compagnia di Herd seduto al suo
fianco, spese interminabili giorni sulla pista di
Goodwood, per curare nei minimi particolari
la messa a punto della M6A. Spedite le vetture
nella nuova livrea arancione, negli States per
l’inizio del campionato 1967 in programma ad
Elkart Lake il 3 settembre, il Team McLaren con
i leggendari patron Bruce e Denny Hulme si
presentò con le carte in regola per contender-
si il successo nelle 6 gare previste dal calenda-
rio. E le vittorie non si fecero attendere. Hul-
me stravinse le prime tre prove, mentre
McLaren che alla fine conquistò il titolo Can-
Am, s’impose nella quarta e quinta. Quindi
quasi dominio totale, se non fosse stato per
problemi ai motori sulle vetture dei due piloti
nell’ultima corsa, il Gran Premio Stardust di Las
Vegas, a privare il team dell’en-plein. Da nota-
re che Hulme divenne in quell’anno Campione
del Mondo di F.1, al volante però di una
Brabham. Nel ’68, per la difesa del titolo fu pre-
sentata la M8A, un’evoluzione della M6A mi-
gliorata nell’aerodinamica da Jo Marquart e
alleggerita nonostante la capienza del serba-
toio fosse maggiorata a 60 galloni. Questo fu
reso necessario per soddisfare la sete del nuo-
vo blocco motore in alluminio, il leggendario
“427” Chevrolet di 7 litri da 620 cavalli. A detta
di Jim Hall ideatore, pilota e boss della Cha-
parral, la M8A presentava il migliore pacchetto
aerodinamico della serie Can-Am. Il “Bruce e
Denny Show” per il secondo anno consecutivo
lasciò poco alla concorrenza, se non due delle
sei gare: per problemi meccanici a Bridgeham-
pton, competizione vinta però da Mark Do-
nohue alla guida di una McLaren M6B privata. E
nel diluvio di Laguna Seca: primato del cana-
dese John Cannon al volante della vecchia ma
affidabile M1B. Ovviamente una McLaren. Inco-
ronato Campione nel 1968 fu Denis Hulme, con
3 vittorie e un secondo posto. Per Bruce McLa-
ren invece, un primo e due podi. La performan-
ce del Team McLaren con la M8B nel campio-
nato del 1969 esteso a 11 gare fu addirittura
devastante. Il dominio fu totale con Bruce, futu-
ro campione vittorioso in 6 round e Denny ne-
gli altre 5, con altrettanti secondi posti. Nelle
parole di Bruce: “dopo i primi cinque o sei giri
io e Denny facevamo il vuoto...”. Da notare
che nel 1969, grazie alla popolarita’ della serie,
fece la sua presenza in forma semi-ufficiale la
Ferrari, con le 612 e 712 affidate a Chris Amon,
finito secondo a Edmondton e terzo a Watkins
Glen e Mid-Ohio. Vi fu anche la presenza della
Porsche con Jo Siffert, al volante della 908 pri-
ma e della piu’ potente 917PA poi, che ottenne