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a JP Norton 750 TT ’73 sarà riprodotta in 25 repliche per
commemorarne il 40° anniversario. Sarà il più possibile
fedele a quella vera, e utilizzerà il motore bicilindrico
della Norton Commando 750 cc raffreddato ad aria. In atte-
sa del primo esemplare di questo remake, sono stato l’uni-
co giornalista a poter provare a lungo la moto originale del
’73, una delle più leggendarie e avveniristiche mai realizza-
te, dotata però dell’anacronistico motore ad aste e bilan-
cieri, che pur si comportò bene. Il suo telaio monoscocca
garantiva vantaggi legati alla ridotta sezione frontale, alla
maggior rigidità, al baricentro più basso, tutti aspetti ricer-
cati oggi dai progettisti in MotoGP. Il suo vecchio motore
Norton Commando derivato di serie, sconfisse numerosi
motori 2 T giapponesi e altri tre cilindri britannici. Inoltre, la
squadra fu il primo team motociclistico a essere sponsoriz-
zato da un’azienda non tecnica: un noto marchio di sigaret-
te. Uno sguardo alla storia di questa avventura è d’obbligo.
Ma andiamo con ordine. Esattamente 40 anni fa, Peter Wil-
liams condusse la John Player Norton alla vittoria nella gara
di Formula 750 al Tourist Trophy, classe precorritrice della
Superbike odierna. Stabilì il nuovo record sul giro in 107,27
miglia (173 km/h), diventando uno dei piloti più veloci di
sempre nell’Isola di Man. Quarant’anni orsono il piccolo re-
parto corse inglese con sede a Thruxton, produsse la moto
più innovativa e all’avanguardia a livello telaistico mai vista
in quegli anni. Ancor oggi quel telaio tecnicamente sareb-
be valido. In quel periodo la progettazione risentiva degli
influssi del mondo della F.1, in buona parte basato in Inghil-
terra, con squadre quali Lotus, Cooper, Brabham, BRM e
Lola. Furono costruite tre moto, oltre a un quarto telaio pro-
totipale, per puntare a vincere la corsa più prestigiosa all’e-
poca. Il successo inaspettato ha dato a questa moto lo sta-
tus leggendario che l’accompagna oggi. Primato che
premia il capolavoro creativo dell’uomo che ha concepito,
sviluppato e guidato al successo in pista, questo mezzo, il
pilota/ingegnere Peter Williams. Una figura eclettica di ec-
cezionale talento. Tutto ebbe inizio nel 1971: Williams giova-
ne tecnico all’R&D Norton, abbinava il lavoro in azienda
all’attività in pista come pilota di buon livello. Vinse un GP
con una Arter-Matchless G50, e ottenne alcuni successi di
classe con una Norton Commando 750 cc di serie. Riuscì a
convincere il suo Presidente Dennis Poore, a dargli un bud-
get per costruire una nuova moto per puntare al successo
nel TT, usando un motore 750 di serie. Le prestazioni compe-
titive convinsero Poore; anche se l’azienda disponeva già
di un motore più moderno ed evoluto, non era male l’idea
di provare a contrastare i “cugini” di BSA e Triumph nella
nuova classse F750 col vecchio aste e bilancieri. Il piccolo
reparto corse Norton-Villiers sul circuito di Thruxton, venne
adibito interamente alla realizzazione di questa moto e il
neo-Campione del Mondo Phil Read ingaggiato per corre-
re con Williams, diretti dall’ex-pilota ufficiale della Suzuki
GP Franck Perris nel ruolo di team manager. La ciliegina sul-
la torta arrivò quando Poore, ex-pilota d’auto, riuscì a sfrut-
tare alcuni suoi contatti nell’automobilismo per attirare l’at-
tenzione dell’Imperial Tobacco, l’azienda che aveva
introdotto la sponsorizzazione in Formula 1 quattro anni pri-
ma, con il marchio di sigarette Gold Leaf e il Team Lotus. Li
invitò a sponsorizzare la Norton con quello John Player. Si
trattava del primo caso nel motociclismo. Il John Player
Norton/JPN Team era nato, e sarebbe stato notato da tutti
nel paddock per via del sontuoso camion che trasportava
le due ruote, basato su un van americano Dodge V8 da 160
km/h di velocità, che allo stesso tempo si sdoppiava e fun-
geva anche da officina mobile. Decorata in bianco e blu, la
livrea John Player dell’epoca, la JPN 750 bicilindrica del ’72
sembrava più piccola di una 500, grazie a quanto appreso
nella galleria del vento del centro ingegneristico MIRA da
Peter Williams, che era pure il progettista della moto, oltre
ad esserne il pilota e l’ingegnere di sviluppo. Coprendo
parzialmente il motore con carene ricavate all’inizio da tani-
che di carburante tagliate, e con una posizione di guida
bassa che permette alla figura del pilota di coprire gli spazi
vuoti tra carenatura e motore, fu possibile ottenere una se-
zione frontale rastremata, che permise di qualificare la nuo-
va JPN a oltre 250 km/h al debutto a Daytona, lottando per
il quarto posto nella 200 Miglia, dopo aver anche occupato
per poco tempo la prima posizione, durante la fase delle
soste ai box per il rifornimento. Fu un debutto eccellente,
ma il resto della stagione 1972 fu più difficile, a causa della
rottura della trasmissione che costrinse Williams al ritiro
quando era secondo nel TT. Lo sviluppo della moto, portò
comunque ad ottenere buoni risultati nel resto dell’anno,
soprattutto nelle gare più brevi, dove non era molto solleci-
tato il cambio: Williams vinse la Hutchinson 100 sul circuito
di Brands Hatch da percorrere in senso contrario, mentre il
nuovo pilota aggiuntivo del team, Mick Grant, condusse il
JPN Team a una tripletta da podio nel mini-TT di Scarborou-
gh. Read chiuse l’annata in bellezza vincendo la “Race of
the South”, ancora a Brands Hatch. Quindi alla fine, a dodici
mesi dal debutto, l’esperimento poteva comunque dirsi già
riuscito. Williams però aveva in mente di andare oltre, e
aveva già nuove idee chiare e rivoluzionarie su come mi-
gliorare la moto per la stagione 1973. Costruendo un telaio
monoscocca, come aveva sempre sognato fin da quando
lavorava per la Ford Motor Co. a Dagenham; con i serbatoi
dell’olio e della benzina (per il motore a carter secco) in-
corporati nel telaio in acciaio inox. “Ho avuto quattro para-
metri per progettare il telaio monoscocca”, ci dice Peter
Williams oggi. “Tre di questi erano già validi per il modello
del ’72: una sezione frontale affusolata, una miglior efficien-
za aerodinamica, un baricentro basso per avere più maneg-
gevolezza e quindi poter posizionare il centro di gravità al
centro delle masse”. Questi parametri oggi sono l’ABC del-
le corse, ma a quel tempo Williams e il JPN seguirono una
teoria controcorrente, e furono i primi a costruire una moto-
cicletta da gara con queste specifiche. “Il modello del 1972
era una via di mezzo per poterci misurare subito in pista”,
ammette Peter. “Era un compromesso. Nel 1973 realizzammo
una moto piccola, con il pilota “raccolto” attorno al motore
e un telaio che incorporava i serbatoio di olio e carburante.
Ciò mi consentì di avere il quarto parametro che il progetto
del ’72 non aveva: la rigidità, che in questo telaio mono-
scocca significava ulteriore maneggevolezza”. Il lavoro sul
monoscocca iniziò prima che finisse la stagione, nell’otto-
bre 1972, con i telaisti Robin Clist e John McLaren. Sia la
Ossa che la Offenstadt GP monoscocca, che l’avevano pre-
ceduta, così come la Garelli 125 o la Kawasaki KR500 che
verranno dopo, sono diverse dalla JP Norton, che adottava
un sistema di alimentazione diverso, creando una sorta di
airbox tra motore e telaio. Ciò ha consentito a Williams di
farsi cronometrare a Silverstone a 250 km/h, e in discesa a
Hilberry sull’Isola di Man a oltre 255 km/h, nonostante il suo
motore erogasse solo 76 CV a 7.200 giri/minuto. Uno dei
segreti per arrivare a questo risultato era la posizione del
pilota, che doveva appiattirsi sul serbatoio per far passare
il flusso d’aria proveniente dal cupolino sulla propria schie-
na. Perché poi questo bolide all’avanguardia e vincente, sia
stato accantonato dopo una sola stagione, è solo un discor-
so legato alla politica interna dell’azienda. Williams nel 1973
aveva vinto il Tourist Trophy, fatto benissimo nelle gare in-
ternazionali in USA e contenso a Barry Sheene la conquista