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TR I S D ’ ASS I

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remetto di essere nato a Busto Arsizio,

ma nonostante la prossimità all’Autodro-

mo di Monza, non avevo mai assistito ad

una gara ne tantomeno messo piede in un

circuito. Nemmeno seguivo l’automobilismo

come sport, anche se la passione per le mac-

chine in generale, ha sempre contraddistinto

il mio DNA. La mia iniziazione a questo sport

è stata quasi banale. Nel 1961 ricordo di ave-

re trovato una copia del Corriere della Sera

e di avere visto in prima pagina le foto dello

sfortunato incidente avvenuto a Monza con

conseguenze tragiche, tra la Ferrari di Von

Trips e la Lotus di Jim Clark. La macchina di

Von Trips toccata dallo scozzese alla staccata

della Parabolica, volò impazzita tra il pubblico

causando la morte del ferrarista e di tredici

spettatori. Bilancio tra i piu’ sanguinosi nel-

la storia della Formula Uno. La gara fu vinta

dall’americano Phil Hill, il quale si aggiudicò

anche il titolo mondiale per un punto, 34 a 33,

sullo sfortunato compagno di Scuderia, Von

Trips. L’interesse vero per questo sport iniziò

con il mio arrivo in Canada nel luglio del 1965

grazie ad Auto Italiana e alla penna del gran-

de Franco Lini. La nostalgia per l’Italia e l’ita-

lianità era così tanta, da farmi trovare confor-

to nel leggere tutte le riviste specializzate. La

passione aumentava con il passare delle gare.

E dire che all’epoca i piloti si alternavano tra

la Formula Uno, il Mondiale Marche e le serie

minori come la Formula Due, e a inizio anno

anche la Coppa Tasmania in Australia. Erano i

tempi della Targa Florio, una corsa tra le piu’

gettonate. Di fatto, Ferrari, Porsche, Alfa Ro-

meo, preparavano telai speciali e silhouette

sempre più aerodinamiche per le cosidette

“barchette”. E come se tutto cio’ non bastas-

se, Jim Clark corse anche in USA, per vincere

al suo terzo tentativo sul “Catino” piu famoso

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del mondo la 500 Miglia di Indianapolis nel

1965, dopo avere condotto la gara per 190 dei

200 giri. L’anno seguente lo scozzese volante,

da sempre il mio mito, finì secondo alle spalle

del suo compagno Graham Hill. Clark, per la

cronaca, vinse il Mondiale di F.1 nel ‘63 e ‘65

alla grande. Ironia della sorte, al contrario per-

se i titoli nel ‘62 e ‘64 per un guasto meccanico

all’ultima gara dei rispettivi campionati.

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apoli come Montecarlo. La collina di

Posillipo trasformata in una sorta di au-

todromo a picco sul mare, con le mono-

posto di Formula 1 padrone della scena. Ac-

cadeva giusto 50 anni fa, nel 1962, quando si

disputò - il 20 maggio - l’ultima edizione del

Gran Premio Napoli, su un circuito cittadino di

2,5 km ricavato tra i saliscendi della parte alta

della collina. Come molti gran premi dell’e-

poca, non era valido per il Mondiale, ma era

un evento straordinario, che richiamava fino a

80mila spettatori. Tra i protagonisti, autentici

miti dell’automobilismo, come Manuel Fan-

gio, Stirling Moss, Alberto Ascari. Maria Teresa

de Filippis, napoletana puro sangue e prima

donna della Formula 1, ne ha grande nostal-

gia. “Purtroppo - racconta - non riuscii mai a

vincere sul circuito di casa, il miglior piazza-

mento fu un secondo posto nella categoria

Sport (1956, su Maserati 200S), ma conservo un

bellissimo ricordo di quella manifestazione,

che dava prestigio alla città e non aveva nul-

la da invidiare a Montecarlo”. In quell’ultima

edizione del ‘62 dominò la Ferrari, piazzando

ai primi due posti Willy Mairesse e Lorenzo

Bandini. Una doppietta salutata con entusia-

smo dal pubblico, ma tutt’altro che limpida: a

Maranello era stato deciso, infatti, che dopo

la vittoria di Mairesse nel GP di casa sua, a

Bruxelles, a Napoli avrebbe dovuto vincere

Bandini. E invece il belga violò i patti: appro-

fittando di una fase concitata per i doppiaggi

di due ritardatari, sorpassò anche Bandini,

che aveva stabilito la pole position e si era

insediato al comando. Per l’astro nascente

dell’automobilismo italiano fu uno smacco

terribile: Bandini teneva molto a iscrivere il

proprio nome nell’albo d’oro della corsa,

accanto a quelli di Baghetti, Ascari, Villoresi,

Farina, fino a Tazio Nuvolari, vincitore su Ma-

serati nel 1934, l’anno della prima edizione,

denominata “Coppa Principessa di Piemon-

te” in omaggio a Maria Josè, consorte del

principe Umberto e futura regina d’Italia. In

tutto risultano 20 le edizioni del gran premio

di Posillipo, ma in realtà furono 19. Spulcian-

do l’albo d’oro i conti non tornano, in quanto

dopo la 16ma (1959), nel 1960 fu evitata l’edi-

zione numero 17 e si passò direttamente alla

18ma: una scelta dettata da scaramanzia tipi-

camente napoletana…

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Gli emigrati italiani appartengono a una razza speciale. Quella che ha capito in fretta come gira il mondo e che mantiene alto il prestigio del nostro

paese ben sapendo come all’estero le cose funzionino molto meglio che da noi, perché si rispettano le regole e il prossimo. Pino da Montreal è

uno e trino: un po’ siciliano, un po’ bustocco, un po’ canadese. Super appassionato di calcio, ha fatto parte del Montreal Impact come dirigente.

Giornalista di motori, è la memoria storica del GP del Canada di Formula Uno.

Poliedrico giornalista di lungo corso, ha curato per per quasi trent’anni la pagina motori de “Il Mattino” di Napoli. Nel 2010, per Tullio Pironti Editore,

ha dato alle stampe il libro autobiografico “Le passioni di Giò”, che consigliamo a tutti gli appassionati di motori e non solo. Infatti Sergio parla

anche d’altro: della sua vita, della sua carriera, di teatro, di calcio. Ex-pilota per diletto, vanta una presenza nel Rally di Montecarlo del 1973 su

Lancia Fulvia HS 1.6 come navigatore. Autentico galantuomo partenopeo, ama Goodwood e una Triumph Dolomite Sprint, rigorosamente verde.

© Goldoni

UN ITALIANO A MONTREAL, CANADA

NAPOLI COME MONTECARLO

di Sergio Troise

di Pino Asaro