Previous Page  7 / 100 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 7 / 100 Next Page
Page Background

A

A

C

è una casetta bassa a Fiorano, vicino

alla pista. Lì Ferrari trascorreva gran

parte delle sue giornate e molte not-

ti. Da solo. Oh, certo di donne nella sua lun-

ga vita ne ha avute, ma lì non sono mai en-

trate. Pochi fortunati vi erano ammessi. Fra

loro anche un gruppo di cavallini tutti parti-

colari, una specie di scuderia segreta, pic-

cola e molto personale. Si trattava di regali,

a volte nemmeno troppo belli e di scarso

valore, ma quei puledrini che Ferrari amava

tenere vicino gli hanno fatto molta compa-

gnia: lo hanno visto morire. Ora a Fiorano

non ci sono più. Un giorno Enzo Ferrari ri-

cevette nella casetta ora dalle persiane

ridipinte di rosso, due persone speciali: il

grande Gioan Brera (il giornalista famoso,

che diede dell’abatino a Rivera e che defi-

niva i calciatori dei poveri pedatori di ven-

tura…) e il suo amico del cuore, il fotografo

Silvano Maggi. Ferrari ha in mente di bere

con loro del buon vino e fare due chiac-

chiere in piena libertà, ma prima desidera

compiere un giro della fabbrica. E’ che le

gambe non lo reggono. Un paio di volte

Brera e Maggi gli evitano addirittura di ca-

dere e farsi male, meglio rientrare in casa.

Sulla porta l’unico segno Ferrari sta in una

ventagliera di ferro: nell’arco è inserito un

cavallino. “L’ha fatto mio padre”, aggiunge

con orgoglio Enzo Ferrari. E racconta che, a

fine ottocento, aveva alle dipendenze otto

operai forgiatori. Non era un fabbro qualsi-

asi, era un signor fabbro, commenta Maggi.

Il papà era ricco, insomma, rincara la dose

Brera. Ferrari si cuce la bocca, ma trattiene

un sorriso. Ha comunque preparato una

piccola sorpresa per Brera, che si vanta

sempre di sapere tutto di tutti. Ha ricupe-

rato tre articoli da lui firmati per la Gazzet-

ta dello Sport sul Modena Calcio. “Non ho

scritto solo di motori, vedi?”. Brera, stupito,

accusa il colpo. In programma c’è un pran-

zo proprio lì nella casetta. Ferrari ha fatto

venire un cuoco, dal vicino ristorante Caval-

lino, con degli strozzapreti al ragù seguiti

da scaloppine al vino bianco. Brera ha in-

vece con sé tre bottiglie di barbaresco di

Gaia, invecchiate tre anni e semplicemen-

te perfette. Enzo Ferrari scova allora una

bottiglia di vino dell’Appennino, anonimo

e altrettanto straordinario, dai profumi di

Barolo. E chiude poi con un tocco di clas-

se superba, stappando per l’occasione un

whisky raro che ha mezzo secolo, un regalo

fattogli da Jackie Stewart. Ma non è finita.

Alla fine del pranzo fa portare una forma

di grana, otto anni di stagionatura, Franco

Gozzi e il cuoco la aprono in modo sempli-

cemente artistico. E Ferrari da’ fuori di mat-

to, si mette a gridare e a imprecare contro il

povero Gozzi, suo ufficio stampa e paraful-

mine, sempre e comunque: al centro della

forma appare, terribile, una macchia gialla.

Il grana è andato a male! Ma chi poteva

saperlo? Inutile consolarlo, meglio versare

ancora del vino nei bicchieri. Ferrari è co-

munque loquace, quel giorno. Ha addosso

tanta energia, è euforico. Parla dei suoi ini-

zi difficili a Torino, della sua grande voglia

di correre in auto. Sin da ragazzo il suo ido-

lo, il suo eroe con la E maiuscola è France-

sco Baracca, l’asso dell’aviazione. Difficile

immaginare, difficile spiegare cosa signi-

ficasse per dei ragazzi che sognavano al

massimo una bella bicicletta da far correre

sulle stradine di campagna un dominatore

dei cieli, un duellante vittorioso e sempre

ad alta quota. Non è un caso che i genitori

di Baracca portino un bel giorno a Ferrari

un pezzo di aereo, quello con cui il figlio-

lo era caduto in un’azione di guerra, con il

simbolo del Cavallino. Lo sapevano anche

i sassi dell’amore sviscerato di Ferrari per

Baracca, era l’amore di un’intera genera-

A

A

A

A

07

KERB 2.12

Per anni colonna portante di Auto Capital, creato da Luca Grandori, da oltre un decennio a questa parte Roberto Denti ha cambiato completamente

scenario. Ora calca un palcoscenico vero, dove suona, canta, recita e mette in scena l’opera che ha composto, “Ermengarda, l’amore oltre”, con

dodici attori. Se non è in teatro lo trovate sul lungolago di Idro, per “Cuori viaggianti” o “Jukebox”, oppure intento a mostrare luoghi d’incanto a

Brescia e dintorni, terra di motori. Motori che in fondo Roberto continua ad amare, ma con signorile distacco.

LA STORIA INEDITA DEL CAVALLINO

di Roberto Denti

zione. “Come per te, Maggino, l’eroe era

Fausto Coppi, così per me era Baracca. Era

lui nei miei sogni …”. Mentre Brera ribatte

e dice la sua, Maggi scatta delle fotografie

ai cavallini. Ferrari gli suggerisce di lasciar

perdere, Maggi, da bravo reporter, con-

tinua a scattare. Solo un minuto, ho finito,

dice. E, come sempre, non è così: i fotogra-

fi son tutti uguali. Ferrari continua a parlare,

dal cavallino di Baracca passa a ricordare i

versi dell’unica poesia imparata a memoria

sui banchi delle elementari. E’ La cavallina

storna di Giovanni Pascoli, pare un desti-

no. E poi, quasi a bruciapelo, la rivelazio-

ne: quel cavallino disegnato per il marchio

delle auto in realtà è una cavallina… Ma

come? “Eh sì, ma non lo posso mica dire.

Guardate però quella coda così alta! Così

la tengono solo le femmine quando si im-

pennano, nei giochi d’amore, con gli stal-

loni. Loro invece la coda la tengono bassa,

la lasciano proprio cadere, hanno ben altro

cui pensare”. Silvano Maggi ascolta, Brera

annuisce in silenzio. Non scriverà mai nul-

la sull’argomento… A distanza di tanti anni

Silvano Maggi è in Marocco per un repor-

tage, da re Hassan, grande appassionato

di Ferrari e di cavalli da corsa. Accetta di

buon grado, il re, di schierare i suoi gio-

ielli a quattro ruote e a quattro zampe, per

immortalarli in foto spettacolari. Fa impen-

nare tutti i suoi puledri ed ecco la prova

finale, conclusiva: solo le femmine alzano

orgogliosamente la coda.

©Ferrari