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è una casetta bassa a Fiorano, vicino
alla pista. Lì Ferrari trascorreva gran
parte delle sue giornate e molte not-
ti. Da solo. Oh, certo di donne nella sua lun-
ga vita ne ha avute, ma lì non sono mai en-
trate. Pochi fortunati vi erano ammessi. Fra
loro anche un gruppo di cavallini tutti parti-
colari, una specie di scuderia segreta, pic-
cola e molto personale. Si trattava di regali,
a volte nemmeno troppo belli e di scarso
valore, ma quei puledrini che Ferrari amava
tenere vicino gli hanno fatto molta compa-
gnia: lo hanno visto morire. Ora a Fiorano
non ci sono più. Un giorno Enzo Ferrari ri-
cevette nella casetta ora dalle persiane
ridipinte di rosso, due persone speciali: il
grande Gioan Brera (il giornalista famoso,
che diede dell’abatino a Rivera e che defi-
niva i calciatori dei poveri pedatori di ven-
tura…) e il suo amico del cuore, il fotografo
Silvano Maggi. Ferrari ha in mente di bere
con loro del buon vino e fare due chiac-
chiere in piena libertà, ma prima desidera
compiere un giro della fabbrica. E’ che le
gambe non lo reggono. Un paio di volte
Brera e Maggi gli evitano addirittura di ca-
dere e farsi male, meglio rientrare in casa.
Sulla porta l’unico segno Ferrari sta in una
ventagliera di ferro: nell’arco è inserito un
cavallino. “L’ha fatto mio padre”, aggiunge
con orgoglio Enzo Ferrari. E racconta che, a
fine ottocento, aveva alle dipendenze otto
operai forgiatori. Non era un fabbro qualsi-
asi, era un signor fabbro, commenta Maggi.
Il papà era ricco, insomma, rincara la dose
Brera. Ferrari si cuce la bocca, ma trattiene
un sorriso. Ha comunque preparato una
piccola sorpresa per Brera, che si vanta
sempre di sapere tutto di tutti. Ha ricupe-
rato tre articoli da lui firmati per la Gazzet-
ta dello Sport sul Modena Calcio. “Non ho
scritto solo di motori, vedi?”. Brera, stupito,
accusa il colpo. In programma c’è un pran-
zo proprio lì nella casetta. Ferrari ha fatto
venire un cuoco, dal vicino ristorante Caval-
lino, con degli strozzapreti al ragù seguiti
da scaloppine al vino bianco. Brera ha in-
vece con sé tre bottiglie di barbaresco di
Gaia, invecchiate tre anni e semplicemen-
te perfette. Enzo Ferrari scova allora una
bottiglia di vino dell’Appennino, anonimo
e altrettanto straordinario, dai profumi di
Barolo. E chiude poi con un tocco di clas-
se superba, stappando per l’occasione un
whisky raro che ha mezzo secolo, un regalo
fattogli da Jackie Stewart. Ma non è finita.
Alla fine del pranzo fa portare una forma
di grana, otto anni di stagionatura, Franco
Gozzi e il cuoco la aprono in modo sempli-
cemente artistico. E Ferrari da’ fuori di mat-
to, si mette a gridare e a imprecare contro il
povero Gozzi, suo ufficio stampa e paraful-
mine, sempre e comunque: al centro della
forma appare, terribile, una macchia gialla.
Il grana è andato a male! Ma chi poteva
saperlo? Inutile consolarlo, meglio versare
ancora del vino nei bicchieri. Ferrari è co-
munque loquace, quel giorno. Ha addosso
tanta energia, è euforico. Parla dei suoi ini-
zi difficili a Torino, della sua grande voglia
di correre in auto. Sin da ragazzo il suo ido-
lo, il suo eroe con la E maiuscola è France-
sco Baracca, l’asso dell’aviazione. Difficile
immaginare, difficile spiegare cosa signi-
ficasse per dei ragazzi che sognavano al
massimo una bella bicicletta da far correre
sulle stradine di campagna un dominatore
dei cieli, un duellante vittorioso e sempre
ad alta quota. Non è un caso che i genitori
di Baracca portino un bel giorno a Ferrari
un pezzo di aereo, quello con cui il figlio-
lo era caduto in un’azione di guerra, con il
simbolo del Cavallino. Lo sapevano anche
i sassi dell’amore sviscerato di Ferrari per
Baracca, era l’amore di un’intera genera-
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KERB 2.12
Per anni colonna portante di Auto Capital, creato da Luca Grandori, da oltre un decennio a questa parte Roberto Denti ha cambiato completamente
scenario. Ora calca un palcoscenico vero, dove suona, canta, recita e mette in scena l’opera che ha composto, “Ermengarda, l’amore oltre”, con
dodici attori. Se non è in teatro lo trovate sul lungolago di Idro, per “Cuori viaggianti” o “Jukebox”, oppure intento a mostrare luoghi d’incanto a
Brescia e dintorni, terra di motori. Motori che in fondo Roberto continua ad amare, ma con signorile distacco.
LA STORIA INEDITA DEL CAVALLINO
di Roberto Denti
zione. “Come per te, Maggino, l’eroe era
Fausto Coppi, così per me era Baracca. Era
lui nei miei sogni …”. Mentre Brera ribatte
e dice la sua, Maggi scatta delle fotografie
ai cavallini. Ferrari gli suggerisce di lasciar
perdere, Maggi, da bravo reporter, con-
tinua a scattare. Solo un minuto, ho finito,
dice. E, come sempre, non è così: i fotogra-
fi son tutti uguali. Ferrari continua a parlare,
dal cavallino di Baracca passa a ricordare i
versi dell’unica poesia imparata a memoria
sui banchi delle elementari. E’ La cavallina
storna di Giovanni Pascoli, pare un desti-
no. E poi, quasi a bruciapelo, la rivelazio-
ne: quel cavallino disegnato per il marchio
delle auto in realtà è una cavallina… Ma
come? “Eh sì, ma non lo posso mica dire.
Guardate però quella coda così alta! Così
la tengono solo le femmine quando si im-
pennano, nei giochi d’amore, con gli stal-
loni. Loro invece la coda la tengono bassa,
la lasciano proprio cadere, hanno ben altro
cui pensare”. Silvano Maggi ascolta, Brera
annuisce in silenzio. Non scriverà mai nul-
la sull’argomento… A distanza di tanti anni
Silvano Maggi è in Marocco per un repor-
tage, da re Hassan, grande appassionato
di Ferrari e di cavalli da corsa. Accetta di
buon grado, il re, di schierare i suoi gio-
ielli a quattro ruote e a quattro zampe, per
immortalarli in foto spettacolari. Fa impen-
nare tutti i suoi puledri ed ecco la prova
finale, conclusiva: solo le femmine alzano
orgogliosamente la coda.
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©Ferrari